Facciata e cupola della Cappella Nuova del Miracolo.

Dalla basilica, attraverso il portale detto della contessa Matilde, si accede alla Cappella Nuova del Miracolo, così chiamata perché in essa sono custoditi i marmi macchiati dal sangue prodigioso scaturito dall’ostia nel celebre Miracolo Eucaristico.

Ricorreva l’anno 1263 (o 1264) quando un sacerdote teutonico che nutriva dubbi sulla reale presenza di

Cristo nell’Eucaristia, intraprese un lungo e disagevole pellegrinaggio alla volta di Roma per ritrovare, con la penitenza e la preghiera sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo e dei martiri, quella certezza nella fede che gli era venuta meno. Giunto a Bolsena, volle celebrare la messa nel santuario della martire Cristina. Al momento della consacrazione, la sofferenza per i suoi dubbi si fece insopportabile e il prete pregò intensamente la Santa affinché intercedesse presso Dio che gli ridonasse la fede di un tempo. In quel momento egli vide l’ostia, cambiata in carne, emanare copioso sangue; tale fu l’effusione che ne rimasero macchiati il corporale, i purificatoi e il pavimento ai piedi dell’altare. Papa Urbano IV, che risiedeva allora in Orvieto, ordinò che le reliquie fossero traslate alla sua presenza e, per l’occasione, volle celebrare, a modo di esempio, una prima grande festa del Corpus Domini che sarà poi ufficializzata in quella città nell’agosto del 1264.

Le”Sacre Pietre”, i marmi macchiati dal sangue uscito dall’Ostia.

Nel 1693, alcune apparizioni sui marmi del pavimento, rimasti a Bolsena nella Grotta di Santa Cristina, furono il movente ultimo che concretizzò l’idea, da tempo vagheggiata, di edificare una nuova chiesa quale degna custodia delle reliquie. Il luogo prescelto per il nuovo edificio fu la Piazza delle Vergini, tra la Grotta di Santa Cristina e la chiesa medievale. A tale scopo, furono demolite le case dei canonici, la vecchia sacrestia, la facciata della Grotta, la Chiesa di Santa Maria e la Chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco. Il progetto del nuovo edificio fu affidato all’architetto camerale Tommaso Mattei e l’esecuzione ai muratori Bernardino Pozzi e Bernardino Simeoni. I lavori poterono iniziare grazie all’offerta di duemila scudi elargita da papa Innocenzo XII. Il 6 ottobre 1704, i marmi del prodigio vennero traslati nel nuovo edificio che però fu consacrato solamente il 20 maggio 1726. La facciata della nuova chiesa fu realizzata ai tempi del Mattei fino alla linea superiore dei capitelli delle paraste, ma in forme diverse da quelle previste dal progetto originario; soltanto nel 1863, su disegno di Virginio Vespignani, fu completata la parte superiore centrale della facciata, mentre le due precedenti ali laterali furono del tutto modificate. Nell’interno, la costruzione è caratterizzata da un composto equilibrio dei volumi, proprio delle forme di un barocco elegante ancorato agli schemi della cultura secentesca romana di Tommaso Mattei. Sia le decorazioni a stucchi che ornano la cappella, opera del Cavalli, che le dorature aggiunte nel 1794 da Gioacchino Cecconi da Gradoli sono equilibratamente composte, in modo da esaltare le linee semplici e grandiose dell’architettura. Altre dorature furono aggiunte nel 1863. Le reliquie del Miracolo sono custodite sull’altare maggiore, tre in una teca lignea dorata, opera del Vespignani, e una quarta all’interno di un prezioso reliquiario, eseguito nel 1940 da Maurizio Ravelli.

La pala dell’altare, con la scena del Prodigio, è opera dell’istriano Francesco Trevisani, uno dei maggiori esponenti della cultura rococò romana; essa fu realizzata intorno al 1704 su committenza del cardinale Ottoboni per l’intercessione del bolsenese abate Andrea Adami. Della stessa epoca dovrebbero essere anche le pale degli altari laterali, raffiguranti San Giovanni Evangelista, quella di sinistra, e La Vergine del Carmine con i Santi Giorgio e Cristina, l’altra.

Francesco Trevisani, Il Miracolo Eucaristico (1704 ca)

Madonna del Carmine, Santi Giorgio e Cristina.
San Giovanni Evangelista (Autore ignoto, 1704 ca)
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